La visione « stereoscopica »di Simone Lucciola
(per View-Master, Ghenomena Ed.2018)
Paolo Leoncini
La « stereoscopia » , a cui si riferisce Rodolfo di Biasio nella postfazione a View-Master , titolo dei dieci « segmenti-poemetto » di Simone Lucciola, e, come scrive di Biasio, « nome di un antico visore tascabile », implica una bi-dimensionalità percettiva dove le immagini , tra referenza e metafora, tra denotazione e significato, si costituiscono in una irrisolvibile dis-unità e dis-continuità di senso :attestazione dell’assenza da un presente storico e generazionale, di un’eterna latitanza:/più assente della mia generazione quasi tutta al camposanto/o sulla via della seta, rinovellato Marco Polo/ai tempi in cui tornare non era dovuto.(p.41).Si tratta di uno stadicamento non solo rispetto alla storia, ma anche rispetto alla contemporaneità generazionale ; uno spaesamento nello spazio e nel tempo, per cui la percezione , ponendodosi, simultaneamente si dissolve, rinviando ad una alterità irriconoscibile.Nei versi citati , l’Estremo Oriente appare, come in altre allusioni dei versi di Lucciola, un non-luogo, un oltre sconosciuto .Questo « rinvio » della riconoscibilità identitaria si rivela nella stessa costruzione del libro, in cui i dieci segmenti intensificano, accostandosi,la condizione spaesante , da un ipotetico soggetto individuale ad un universo disperante, fallimentare, che si manifesta nel decimo segmento :E gettami giù la giacca e il coltello/che organizziamo un barbecue per la borghesia mondana/e li’ tiramo un po’ di signore inanellate a sorte/e pratichiamo loro asole per le canne di bordone:/e diteggiandole sapientemente, coi baci a mo’ di labium/hai visto mai che non se ne cavi qualche nuovo suono.(p.43) : dove la dis-continuità della percezione , che nel testo incipitario era palese (Intanto solivago per Cavour/mi chiedo da che Vincoli svincolato svicolare /e perché chiamare un albergo ristorante Massimo d’Azeglio / se Massimo d’Azeglio nel 1875 era già morto,p.9), si ‘concreta’ in una sintesi visiva tra la reazione ad un mondo (la borghesia mondana) in cui si oggettiva la incomunicabilità, e il ‘ritorno’ al ludico, allo spiazzante, al al« diteggiare » le « signore inanellate » : dinanzi all’estremo del dissimile e dell’incomunicabile, la bipolarità visiva si ritrae, ma giungendo ad un linguaggio che , mentre supera la paratassi , non puo’ che negare il significato della metafora, ovvero dello stesso linguaggio.Infatti :E a chi vi dovesse all’occorrenza offrire/un sorso di corda per consolazione/ruvido o col sapone/porgete pure da parte mia quest’ambasciata:/chi beve da solo si strozza (p.45) : qui , la discrasia del dissimile (il sorso di corda) , ovvero la negazione della somiglianza come negazione della metafora, emerge quale residua ‘unità’ del linguaggio a dire, che non puo’ che corrispondere alla solitudine suicida. Prima, Lucciola aveva negato il tempo , il passato :Oggi la terra degli avi è robetta/…/Intanto il nostro campo va in malora ed è affittato ai corvi/…/ma a chi sto parlando ?(p.44).La dis-unità, la dis-continuità di Lucciola si svolge dalla bi-polarità radicale dell’incipit (l’irriconoscibilità del ristorante Massimo d’Azeglio) al riconoscimento della negazione, nel linguaggio e nell’esistenza, nello spazio e nel tempo. Già nell’ambito incipitario sono ‘bruciati’ l’anima (…l’anima flessibile /di una duttile apparenza, p.9) ;la memoria : Proscritto nella memoria, la mia,/…/ saro’ già sparito come un’ombra nel meriggio(p.10) ;il sogno (Sognavo le bianche scogliere di Dover,/…/poi un turbine mi avvolse e mi ritrovai / sul cotto rosso delle mattonelle del balcone/alle sette di sera (ivi) ; gli altri : (Cosi’, d’emblée, ho fatto conto su di te/ma ad ogni malinteso tu ti rifugi in un cespuglio, con ritrosia di scimmietta/ con zampettare di coniglietto, p.11).La diacronia di View-Master , costituita da momenti sincronico-discontinui sempre più intensi ed espliciti, si pone, in sostanza, tra la percezione dello spaesamento e il riconoscimento della negazione, in un linguaggio , metaforicamente, dunque letterariamente, impossibile.Se la metafora si fonda sulla somiglianza, dunque su una correlazione uomo-universo, qui, invece, il linguaggio, come negazione in re della metafora rispecchia la doppiezza, incomunicabile, della percezione :E disdire , cosi’, che il passato è passato/penando intorno ad ogni cantone disadorno/che al tempo suo ruggente è stato in festa (p.22) : ‘disdire’ il passato significa negare la correlazione temporale tra percezione presente della ‘pena’ ed evocazione del ‘tempo suo ruggente’ ; lo stesso appiattimento sull’insignificanza si compie tra linguaggio ed etica :in fondo quello sbirro è una brava persona !/Pero’ quel fascista è un buon partito ! (p.18) ; tra linguaggio e sentimenti :Ma che Libro Cuore che c’avete nel cuore(p.29) ; e, prima, tra il ‘libro’ e il ‘mare’ :….questo libro/potesse essere immerso un giorno nel verde del mare/e poi regalato (p.15).L’appiattimento dell’alterità sull’identico troviamo a p.33 :non c’è prossima puntata : l’’altro’ (altra Roma altra naja altro punk/altro filo spinato : altra gente che viene e va) si identifica in un’epoca infame/Botte de fero, un destino comune. La incomunicabilità , che significa appiattimento senza prospettiva, si realizza in un linguaggio policentrico : sia per il lessico , ora romanesco, ora inglese, ora tedesco ; sia per gli usi rari (palafreno, maramaldeggiare, diteggiare, camallo, ciurlare, escapologia) ; e per i neologismi (anarcolettico, aspilogo). In sostanza , Simone Lucciola è riuscito a fare un libro di poesia veritiera, reggendosi sul crinale dell’impoetico : come dice Di Biasio : la sua scrittura « registra una quantità di termini impoetici (chiamimoli cosi’) ».Impoetici non sono soltanto i ricorrenti usi lessicali , ma ‘impoetica’ è la stessa dis-unità che nega la somiglianza metaforica su cui si fonda l’autenticità del letterario : il tentativo radicalmente estremo di Lucciola è una testimonianza della parola, senza evasioni, finzioni, dilazioni, e illusioni.=
Maggio 2018
SIMONE LUCCIOLA, View-Master
Di questa fine silloge del giovane poeta Simone Lucciola Rodolfo Di Biasio, in una puntuale nota del libro, scrive: «View-Master è il nome di un antico visore tascabile di sottili dischi di cartone (“reels”), contenenti sette paia di piccole fotografie su pellicola in 3D stereoscopico raffiguranti in prevalenza panorami. È questa un’in-formazione importante perché ci porta al cuore del libro di Simone Lucciola, dove da una parte troviamo lo scorrere di sequenze (viaggi fatti e non, luoghi – tanti –, amici, incontri, ecc.) e dall’altra abbiamo la possibilità di soffermarci su ognuna di esse. In questo modo il poeta può richiamare e fissare particolari di queste sequenze e isolarle chiedendo alla memoria il suo ausilio per reificarle. View-Master è dunque fatto di tappe e di un sentire, è fatto di immagini sedimentate e ritrovate, ma nel momento in cui queste riemergono si pongono come registrazione di un attraversamento conflittuale della vita, di una aspra realtà. Sempre tra stridori e dolcezze. E qui la drammatica tensione del libro di Lucciola, che però pare non volersi chiudere alla speranza. Il poeta così nell'incipit del libro (sono i versi finali del secondo poemetto): “io nondimeno vorrei che questo libro/potesse essere immerso un giorno nel verde del mare/e poi regalata”. Il poemetto appunto. Lucciola lo sceglie perché ha bisogno di una struttura più ampia, più narrativa. Ne ha bisogno prima di tutto per una questione di linguaggio, dal momento che nella sua scrittura registra una quantità di termini impoetici (chiamiamoli così). Lucciola li fa spia del suo modo di fare poesia oggi, che è modo ambizioso. Vuole essere infatti ViewMaster un libro generazionale, perché di una generazione vuole segnalare lo scacco e la latitanza di fronte al procedere dissonante della storia.» Durante un sua viaggio a Palermo, Lucciola ha derivato una poesia ambientata in uno dei più antichi mercati, di origine saracena, della città: «Seduto in un bar di Palermo, tanto per dire, /in una piazza affollata /sentivo la circoscrizione dell’isola /e mi ero perso per strada una serie di cose /che non avrei ritrovato a Ballarò./Cionondimeno ero più che fortunato /a girare tra i banchi del pesce con il collo sudato //(in centro c’è una fossa dove si beve birra).»
Quadernidiarenaria n. 14 pag.59
View-Master di Simone Lucciola, Ghenomena, Formia, 2018
Nino Iacovella
Non saranno in molti a sapere cosa sia un View-Master, apparecchiatura diffusa soprattutto negli Stati Uniti per la visione stereoscopica. Era il primo tentativo di visione 3D distribuito in larga scala, ed eravamo negli anni '70. Negli USA si diffuse soprattutto per poter godere dei panorami americani. Ne avevo uno anch'io. Fu mio cugino newyorchese a regalarmelo. E con quella specie di giocattolo magico ammiravo le meraviglie di orizzonti e paesaggi sconfinati. Simone Lucciola sceglie il View-Master quale titolo-simbolo dell'intera opera, e a buona ragione, perché View-Master è un libro in versi sull'"escapologia", ossia sull'arte della fuga. L'io poetante parla di fughe da fermo, di sogni a occhi aperti, di viaggi veri e immaginari. Lucciola ha l'animo del flaneur che cerca di scavalcare il limite del proprio sguardo per arrivare dall'altra parte: nel mondo. D'altronde la provincia ingabbia oppure squarta, come i cavalli (palafreni) che legano braccia e gambe nelle contrapposte direzioni di patria, dio, scuola e famiglia; valori e convenzioni che in questo contesto non lasciano scampo. Simone Lucciola è tante cose, verrebbe da dire troppe. È un punk-rocker, illustratore e disegnatore underground, giornalista musicale, poeta e barfly. Sembrerebbe che l'eclettismo sia un'altra forma di escapologia. Un rifiuto di essere ingabbiato in una delle specifiche arti. Così come dalla sua poesia tanti sono gli echi che si ricompongono nella sua unica voce, un pastiche linguistico che tira in ballo cultura alta attraverso il citazionismo, cultura bassa attraverso innesti di slang, di romanesco, e di giochi verbali arguti che tanto mi ricordano Dario Villa. In certi testi vi è un'aura di struggente spontaneità sentimentale, capace di toccare il cuore, come nei versi di Eros Alesi o in una ballata di Tom Waits. Capofermi del poeta sono l'autenticità assoluta e l'amicizia, che tengono conto del naturale contrappasso dell'incomprensione e della solitudine. Per questo, nell'incipit della prima poesia, l'ordinarietà della solitudine è nell'accostamento dei 41 shangai che cadono a terra senza toccarsi e il ritorno a casa "vuoto", dove l'apparente spavalderia del personaggio svanisce e i dubbi esistenziali e artistici dell'uomo ritornano a galla nel flusso dei pensieri: "41 shangai cadono senza tangersi. / La sera torno a casa vuoto / e non so che palafreno seguire nel quartering / senza maramaldeggiare sui ferrucci / che sono l'anima flessibile / di una duttile apparenza. / Intanto solivago per Cavour / mi chiedo da che Vincoli svincolato svicolare / e perché chiamare un albergo ristorante Massimo d'Azeglio / se Massimo d'Azeglio nel 1875 era già morto." Leggendo la poesia Anarcolettico dedicata ad un amico scomparso mi torna in mente, per il tono esortativo, la commossa vitalità e il gioco di immagini la bellissima ballata di Waits Kentucky Avenue, una canzone dedicata al suo vecchio amico d'infanzia poliomielitico. Un esempio lampante in questo passaggio: Prenderò un chiodo arrugginito e inciderò le tue iniziali sul mio braccio Tom Waits Mi legherò all'aorta il ferro che ti tiene la mascella insieme Simone Lucciola Per dare un giudizio complessivo sulla poesia di Simone Lucciola bisogna dare spazio ai testi. Ma per quello che posso dirvi, a mio parere, in questo libro c'è sicuramente buona poesia e quindi un poeta. E se i palafreni tirano da tutte le parti sino a squarciare, il poeta ci dice che non ne ha paura. E che addirittura non ci sarà nessuno scempio. Perché al centro del proprio corpo smembrato apparirà ancor più visibile il battito di un cuore puro che, ai più, sarà clamorosamente inaspettato.
Lo Zigzagare poetico di Simone Lucciola : View Master
Falco Ranuli
La silloge poetica di cui stiamo parlando View master, prende il nome di un desueto sistema di riproduzione stroboscopica della realtà, che restituiva un'illusione riproducente in genere panorami di luoghi naturali e di città lontane, semplicemente accostando gli occhi al detto visore, lo stesso che troneggia sulla copertina dell'omonima silloge di Simone Lucciola, poeta, cantante punk (Gioventù Bruciata, Blood '77), giornalista e artista visivo di Formia.
Sono dieci le poesie qui raccolte, non solo sette come erano le immagine raccolte nei dischetti che si infilavano nel VM negli anni settanta, composizioni che affastellano immagini dense di squarci di realtà fatta a brandelli, non certo dalle lenti del visore, ma dalle dallo sguardo e dalle parole del poeta sempre lucidamente visionario, anche quando si definisce ironicamente senza la più visopallida idea.
Ma il poeta, in fondo, lo è sempre visionario, tanto più lo deve quindi essere un artista sfaccettato come il nostro, abituato a tracciare flash di vita, di luoghi e di volti nelle sue canzoni e nelle sue elaborazioni visive, il cui tratto personale, corposo e aggressivo, sembra ripetersi qua, nelle dieci polarizzazioni di esistenza che sono le poesie contenute in questa silloge da poco uscita per Ghenomena.
Il visore di plastica del titolo, meraviglia decaduta e desueta di una modernità ormai tramontata, diventa allora la trasparente metafora di uno sguardo poetico a più dimensioni, stroboscopico, appunto, che vaga stralunato e sarcastico per un mondo sconvolto e plastificato, dove spesso il poeta rivolta e trasfigura ghignando delle espressioni consunte, come senza maramaldeggiare sui ferrucci, o ho perso un amico/ma vedrai che lo ritrovo.
Un mondo difficile da racchiudere in idilliache rappresentazioni, come faceva in realtà il succitato plasticoso visore, ma che si presta meglio a straziate dichiarazioni come quella che recita Ma vivere in alcuni luoghi è già di suo una barbarie, un universo di visioni e sensazioni dove anche la poesia si trova a desiderare una sorta di annullamento di se stessa, quasi per impossibile aspirazione alla auto rigenerazione, quando ci si augura che questo libro potesse essere immerso un giorno nel verde del mare/e poi regalato. La purificazione poetica, per quanto come si vede, sia paradosso impossibile sebbene sperato, balugina come il mito pagano di un rito salvifico, ai margini di un vissuto in cui non c'è bene, visto che si invoca non perdiamoci il Paradiso/che poi è sempre, per definizione, altrove:/lì serenissimo, qui invece piove.
È un universo poetico e umano, quello dove Simone si muove poetando, dominato dal wandering, dal vagabondare profetico caro anche a due grandi miti del novecento, il cui culto e amore condivido con lui, Dino Campana e p'tit jean Jack Kerouac, due artisti diversissimi che avevano fatto del movimento la ragione della loro vita e della loro scrittura inquieta.
Sempre di vagabondare si parla qui spesso, però è un vagabondare a cui qui il poeta toglie ogni aura mistico- sacrale per portarlo nel terzo millennio, in mezzo alla desolazione della provincia laziale (Nel mio paese c'una brasserie degli anni ottanta/una notte sul lungomare, un pomeriggio in centro) , come in quella della viciniora metropoli, Roma (e poi sentirsi come un corriere DHL d'a' a Lazio/sotto le colonne di Porta Portese) oppure Berlino (Ma era autunno inoltrato e così mi persi a Kreutzberg) o la altrove solare Palermo, qui sfondo di ricerche senza meta e senza senso, e mi ero perso per strada una serie di cose/che non avrei ritrovato a Ballarò.
Il promenarsi lucciolesco per i luoghi, che vediamo costantemente dominato da un sarcastico senso di smarrimento, vista la saturnina giocosità dei versi, una giocosità mai ilare s'intende, ma sempre scontrosa e sarcastica, viene spesso ingannato e deviato con disvelamenti privi di qualsiasi sorpresa, com'è d'uopo nella nostra comune condizione di angoscia quotidiana, nel mio paese però non c'è una brasserie/né una miniera né un consimile contesto, quando ci si aggrappa al gioco sonoro di allitterazioni e paranomasie per non scivolare nel muto buio della desolazione quotidiana, quando il colore alla vita te lo può dare solo un finale epigrammatico da manuale Chi beve da solo si strozza.
Quindi volendo raccogliere in tutti i modi l'invito del poeta, da lettore e da recensore, prederei questo libro e me lo porterei in giro, magari andrei in qualche bar, mi farei portare una pinta, al limite mezza, di rossa o di Stout, perché si vede chiaramente (non fate inutili domande!) che
Simone è poeta da birra e non da vino, né sicuramente può mai essere astemio nemmeno per sbaglio. Arrivati al dunque, birra in una mano e libretto nell'altra inizierei a leggere, magari ad alta voce, per il piacere condiviso degli astanti, meglio se già bevuti, pensando all'inevitabile ed amaro ritorno a casa la sera torno a casa vuoto/e non so che palafreno seguire nel quartering.
L’escapologia di “View-Master”, la poesia di Simone Lucciola
Antonia De Francesco
View-Master ( Ghenomena Poesia, gennaio 2018 ) è il titolo della raccolta poetica di Simone Lucciola, ma ancora prima è il nome di un antico visore tascabile di sottili dischi di cartone contenenti sette paia di piccole fotografie su pellicola 3D stereoscopico raffiguranti in prevalenza panorami, come spiega dettagliatamente, in commento all’opera, il poeta Rodolfo Di Biasio.
Un’immagine, questa, che rimanda ai componimenti di queste poche pagine, la cui consistenza richiama la medesima delicatezza di un reel, che è poi la stessa di un qualsiasi uomo esposto alla pioggia o al sole che di cui aumenta variamente la durezza, con l’esplosione, però, di una lente che indaga nell’interiorità spesso assorbita, nella sua parte più vera, dall’inconscio alle prese con la costruzione di una riflessione che disegni la ragione ultima della sua esistenza.
I poemetti di Lucciola scorrono così lungo un fiume di panta rei, che si scontra con luoghi dell’animo o del buio, ampiamente sedimentati, su cui indugiare ed interrogarsi. Ci sono immagini, scene, tappe, reali, concrete, rese visibili dall’uso di un linguaggio, ricercato sì nei riferimenti, ma crudo e contemporaneo nella verve incalzante, nel turbinio di un’emotività che oscilla tra il soffocamento, la malinconia, la rabbia e qualche barlume di speranza mista all’accettazione.
Così sembra di intravedere davvero lo studio escapologia annoverato in un verso di uno dei componimenti, nell’impressione che si ha di un tentativo di liberarsi da costrizioni dal riverbero fisico, provenienti soprattutto da un mondo esterno e, il più delle volte, talmente volutamente estraneo e ingurgitato nelle stereotipie, che pare ridurci tutti ad indossare il costume ingombrante di Manabozo grottesco.
I luoghi, certi luoghi ed il loro vivere, diventano di loro già barbarie e solo l’ ottanio profondo, quello del mare sembra custodire l’ultima salvezza anche per la poesia dello stesso poeta Lucciola. Vien da sé che imperino volpi e ragnatele attorno ad un senso di solitudine, talvolta struggente, da generare una diffidenza che fa temere i Danai anche quando portano i doni. Ma, sfiorata la morte, vissuta la morte, di tutto questo rimane qualche posto altro che Simone Lucciola descrive, dove, finalmente, c’è un unico al mondo ad aspettarmi alla stazione perché:
[…] Nulla è mai così come te lo immagini
ma come viene
ed è con l’occaso, con l’occorso e con l’occazzo
che devi patteggiare ogni momento […]
View-Master conserva una poesia che dice tanto dell’essere umano di cui l’autore si offre come d’essere umile penna, così come attraverso tutte le passioni che coltiva. Lucciola, infatti, è anche un illustratore e musicista e View-Master sembra preservare quella nudità punk del suo compositore, che attraverso i suoi versi rimane avanguardistico-disturbante e vagamente neo-dadaista, così come egli stesso ha definito il punk in un’intervista.
Nel tuffo anche un po’ primordiale che Lucciola dona ai lettori, fortunatamente il peso specifico dell’uomo così condizionato, così variabile, così poco incline alla ricerca almeno di un’ “anarchia emotiva”, trova l’ àncora della poesia, quanto meno per sopravvivere, consapevole che:
[…] Achtung in campana non perdiamoci il Paradiso
che è poi sempre, per definizione, altrove:
lì serenissimo, qui invece piove.
ARTSPECIALDAY
Simone Lucciola, View-Master, Ghenomena Edizioni, Formia, 2018
Carmine Tedeschi
Hanno l’aria di luoghi misteriosi e densi di accadimenti, le tante indicazioni geografiche che s’incontrano in questi versi. L’autore deve averne girati realmente parecchi o almeno frequentati per interposizione letteraria. Luoghi che punteggiano un vissuto ondivago come chiodi di fortuna per appendere abiti quotidiani in una casa non tua, dove ti trovi a passare per caso.
L’aria che tira fra questi versi è appunto un’aria da cosmopolita, di un osservatore abituato a mettere distanza tra sé e il mondo osservato, tra sé e la sua stessa esperienza di vita. Questa distanza prende figura simbolica in un arnese, un visore tridimensionale di foto in voga alcuni decenni fa. Quella stessa funzione di fissaggio e messa a fuoco del mondo frequentato e introiettato la svolgono, ora, le parole e i versi qui raccolti. Con l’inevitabile effetto di assimilazione coscienziale di quel vissuto, ma anche di congelamento nel tempo. Tutto appare perciò distante, come si diceva, come traguardato da un’altra vita.
«Bistra la tela di nero per l’effetto caravaggesco,/ bistra la tela di bianco per impressionismi vari./Non bistrattare la tela se bistro non hai,/punitore, oppressore e (in definitiva) valvassore di te stesso». Tutto lo sforzo della scrittura poetica sta nel voler dare significanza a quel vissuto.
INCROCI ON LINE/FRESCHI DI STAMPA
La visione stereoscopica di Simone Lucciola
Sergio D’Amaro
In View-Master di Simone Lucciola è evidente il versante visionario, la sua provenienza da sensibilità diversificate e da esperienze intrecciate, all’incrocio tra scrittura, fumetto e naturalmente fotografia. Diciamo qui naturalmente perché il view-master del titolo è la calamita concettuale attorno a cui si aggrega il sistema di intercettazione della realtà, lo stile e l’intenzione di una visione che, senz’altro stereoscopica, si fa immediatamente smerigliata, sfrangiata, sobbalzante.
Il panorama che fa da sfondo è il palcoscenico sfrenato e anarchico della società attuale, dedita alle sue segmentazioni sentimentali e psicologiche, presa nel vortice di una tecnologia ridondante, affacciata continuamente al rischio di dissolvimento della sua memoria. Lucciola, con le sue sequenze senza titolo, si immerge nelle immagini frammentate delle sue incursioni da novello flâneur alla ricerca di una possibile direzione di senso, proiettando nel suo ‘’schermo agnostico’’ la difficile indagine sull’ubi consistam.
Si potrebbe interpretare, d’altronde, questa carrellata di diapositive anche come una serie di annotazioni sulla latitanza (‘’la mia eterna latitanza’’, scrive l’autore) delle generazioni che hanno avuto vent’anni alla svolta del terzo millennio. Senza un retroterra di ideologie forti e cresciute nelle supposte certezze dell’edonismo anglo-americano (Reagan più Thatcher), esse potrebbero risultare bisognose di una rigenerazione anche morale. La sfida del punk più recente è certo una lontana filiazione del rock anni ’50 e di quello degli anni più duri della contestazione (culminata in Italia col ’77 bolognese), ma sembra essere presente ancora in Lucciola capace di attivare abilmente le risorse di un linguaggio appoggiato a metafore da cortocircuito. Se ‘’nulla è mai così come te lo immagini’’ è più che opportuno correre ‘’come un corsaro’’ cercando di reagire a ‘’un’epoca infame’’. Attraverso il gingillo apparentemente ingenuo del view-master è forse possibile prendere la realtà in contropiede e vederla ribaltata secondo un occhiale più spregiudicato e intransigente.
L’agnosticismo risulta, perciò, alla fine come uno scudo su cui infrangere gli idoli di una condizione umana diventata così complessamente stridente, diventa un metodo per cercare di far chiarezza e restituire alle fondamenta la costruzione di un nuovo edificio, approntando almeno una decente via di fuga.