Come se tutto bianco
«Non accendete luci per favore. / Non ne accendete: al buio vedo meglio. / Servono infatti occhi per discernere? / Mi basta la memoria, quel fermo immagine. / Come legno di rovere imbevuto». L’ incipit di Come se tutto bianco. Versi irrobustiti da endecasillabi, tesoro naturale della lingua italiana: di apertura e insieme sintesi sulla via intrapresa della scrittura. Presente e passato: viaggi, treni, separazioni, sensazioni, campagna, amore, sensi, infanzia. E lo scandaglio del bianco, sovrano accanto a quello del buio.
Lorenzo Ciufo fa poesia in un punto abissale di maturità dove tutto sembra precipitare. Lo scarto di un istante: a difesa la pienezza del ricordo. Il legno di rovere della memoria all’improvviso costringe a scrivere: a spingere il racconto, una profondità di infiniti momenti dimenticati e solo all’apparenza persi o senza significato. Il dettato un respiro ora stretto e avvertito, ora leggero e maturo canto. Resta lontano «il sentimento, che squaderna»; la lingua vigila come uno strumento che «tutto squadri». L’architettura si sostanzia con materiali umili ed esclude marmi: pietre candide, giorni chiari e generosi, «luce, fuori, e passi svelti».
«Di ore donami un container»: Ciufo non vuole che gli siano negate parole, trova quindi l’accento giusto per pronunciarle. All’innata sincerità del suo sguardo niente sfugge che accade: nubi e pioggia portate dal vento, fresie che si flettono nello stesso orto di un giovane albero, un maggio svogliato mentre la primavera tarda… Non la meraviglia ci porge ogni poesia di questo libro, ma l’attenzione e lo spoglio ascolto. Perché «scrivo nel buio e la mano vaga / illudendosi un cammino, / ma perde la misura / e le parole, calligrafia / non mia, salgono e scendono la pagina, / disegnano parabole, dorsi / di colline».