Barbara Carle SULLE ORME DI CIRCE
Ghenomena, Formia 2016.
È con un gioco di allitterazioni che esordisce il primo testo della raccolta, in versi e in prosa, Sulle orme di Circe, di Barbara Carle, poetessa, traduttrice e docente alla California State di Sacramento. «Le formelle antiche fanno / rime nel foro di Formia» è dunque un incipit che annuncia l’intento di celebrare Formia sia come luogo di chiara rilevanza storica, in quanto fu dimora di Cicerone e ora sede del suo monumento funerario, (nonché di quello di sua figlia), ma anche di narrarla come fosse il suolo in cui s’intrecciano cose terrene e spirituali, una sorta di spazio inviolato in cui la vita quotidiana, anche nei suoi aspetti semplici e godibili, offre alla mente spunti creativi e magici rimandi a un passato avvolto nel mito. «I miei forti legami con Formia generano ogni tipo di poesia, oltre a quelle sui frutti dimenticati o le sfogliatelle» (p. 19). Da questa dichiarazione sgorga l’intento, dell’autrice, di creare poesie semiserie su animali della California, per suscitare curiosità verso la sua terra, ma l’attrattiva più forte per la Carle rimane quel mistero che Formia contiene ed esprime maestosamente nelle sue mura ‘megalitiche’, da lei denominate «spartiacque cosmici tra la terra e il cielo» (p. 27). In questo ritorno al passato, in un margine che oscilla continuamente tra il regno dell’oggi e quello della fascinazione omerica, le reminiscenze remote si fondono con la fotografia lucida del presente, per consentire al lettore di accedere poi dolcemente a una narrazione più intimistica. Il mito, dunque, si alterna alla contemporaneità, componendo scenari di quiete e bellezza che divengono espediente letterario per introdurre progressivamente personaggi e ricordi installati in un territorio denso d’immagini vissute e talvolta rimpiante. Nella scrittura della Carle, tuttavia, non c’è mai sentimentalismo, piuttosto aleggia un senso della realtà e del gusto dell’esistenza che riesce a celebrare sentimenti anche nostalgici senza scadere però in una rievocazione fine a se stessa. Perciò, se nei versi dedicati all’amico e poeta Gianfranco Palmery («durerà poco / tutto si farà lutulento algore. Si spegnerà con il lampo del fuoco», p. 37) è un senso di labilità invincibile a far presentire che tutto volga alla caducità, è poi questa stessa immagine di vigore della natura destinato a scemare, oltrepassando il presagio della trasformazione di ogni cosa, offrendo, nelle successive pagine, un’esaltante passione per la vita in ogni suo aspetto. La figura di Rodolfo, per esempio, (il poeta Rodolfo Di Biasio), spunta come un elegante pretesto per svelare un sentire più profondo della poetessa, che da qui in poi ricorderà il padre: «Riprovai il sentimento di ritrovare un padre diverso, rianimato e radicato nella sua umanità» (p. 39). Questo percorso di ‘disvelamento’, dunque, in cui la Carle offre scorci più personali, come piccoli frammenti di narrazione di sé, racchiude un esempio di grazia e tenerezza ne La primavera del 1994, frammento in cui viene descritta la potente forza creatrice della gravidanza, attraverso una piacevole similitudine con la dea Iside: «genitrice dell’universo, perché un microcosmo fioriva nel mio grembo». Da questo ‘spazio obliquo’ in cui sentire se stessa unita al proprio figlio, l’autrice apre altri angoli del suo vissuto, raccontando la vita a Formia con brevi fotogrammi, immaginando un ideale convegno di poeti presenti e passati, sotto quella «luce leggera che fa nascere pensieri paralleli» (p. 45). Ventosa per esempio, assurge a luogo mentale, dove gli elementi della natura concorrono a creare la poesia e l’esigenza di essa: «essere a Ventosa è un evento / di aria e di respiro come entrare / nel soffio della poesia del tempo che posatamente sa narrare (p. 50). Da una parte, insomma, ci sono l’aria, il mare, il vento e la natura così preponderante nel suo eternizzarsi riciclando se stessa, dall’altra i destini, gli incontri casuali, le amicizie e gli affetti aggrappati a un tempo pur labile e in divenire continuo, ma che fa fluttuare poesia, letteratura e arte del vivere in un unico ritmo. Questa convivialità è celebrata ne L’arte della casa, frammento dedicato al pittore Ruggero di Lollo, ed è infine suggellata in quello che è l’inno all’arte del vivere e dello scrivere, Amicizia nel pane, ossia la ricerca di quella leggerezza, sì necessaria alla vita, ma pure ineludibile ingrediente per impastare tutti quei semplici momenti che rendono anche un gesto quotidiano qualcosa che sia un «godereccio plasmare», dunque un’occasione per assaporare poeticamente ciò che «la vita accresce».
Marta Lentini