Tangible Remains
The “fierce grace,” the hardness and sweetness of Tangible Remains, disconcerts and satisfies. The cry of the preceding book, Don't Waste My Beauty, returns here with the same painful joy, with that secret sensual ascent of a living seed beneath the snow. And it doesn't make any difference that here she sings a love of things. Be they a needle or a chair, a comb or a ball, a box or a broom, each “relic” is finally seen as though for the first time (we think of man's discovery of an ear of wheat and the wheel). In this new work, on the contrary, pushed by a need for perfection so dear to her soul, Barbara Carle dared even more. For a while poems had began to knock on the door of her spirit in Italian as well. Like an ancient amphora, the opening poem crosses “expanses of time”, touches “waves of brilliance” with a hand: “Achilles the survivor incarnates/myths of grace –/painted with finesse/Homeric clashes/ornament the curved vase./Raising their shields these warriors/accepted the geometry of death.” I believe this poet’s forceful poetic diction is born from the same rigor; her voice is immediately recognizable.
Toccare quello che resta
La “feroce eleganza”, la durezza e dolcezza di questo Toccare quello che resta, sconcerta e disseta. Il grido del precedente libro, Non guastare la mia bellezza, torna qui con la stessa gioia dolorosa, con quella segreta sensua-le accensione come di un seme vivo sotto la neve. E non fa differenza che questo sia un canto d’amore soprattutto per le cose. Fosse un ago o una sedia, un pettine o una palla, una scatola o una scopa, ogni “reli-quia” infine è vista sempre come per la prima volta (vien da pensare a scoperte dell’uomo come la spiga e la ruota). In questa nuova opera, anzi, Barbara Carle spinta dalla perfezione così cara alla sua anima ha osato di più. Le sue poesie da tempo avevano iniziato a bussare al suo spirito anche in italiano. Come da una antica anfora il testo che apre la raccolta e attraversa “distese di tempo”, tocca con mano “ondate di splendore”: “Al superstite Achille il compito/narrativo di incarnare i miti della grazia –/fabbricati coi dipinti gli scontri/omerici figurano sulle curve./Rialzando gli scudi questi guerrieri/accettarono la geometria della morte”. Dallo stesso rigore credo che nasca il forte dettato di questo poeta, la sua voce subito riconoscibile.